sabato 12 febbraio 2011

Un'altra voce da aggiungere alla lista "Desideri Impossibili"

" In New Jersey l’inverno fa schifo.
Eravamo nel 1995 e mi ero appena diplomato, con scarsa acclamazione (credo che alla festa di consegna ci fossero soltanto sei persone ad applaudirmi: i miei genitori, mio fratello Mikey Way, i miei due migliori amici che venivano da fuori e il bidello che mi scroccava le sigarette). Mi iscrissi al primo anno di accademia (anche se non ero molto promettente) e finii retrocesso al ruolo di “spingi-carrelli” del supermercato del mio paese.

Anche se veramente quella fu una mia scelta. Lo feci di proposito.
Avevo iniziato come cassiere, ma odiavo quel compito. Principalmente per via delle persone. Non è che le persone non mi piacciano in generale: è solo che non mi piacciono le persone che fanno la spesa. In quel supermercato. Quindi aspettai il momento giusto per chiedere di venire retrocesso... l’arrivo dell’inverno. Quello è il periodo dell’anno peggiore se spingi i carrelli perché, come avrete intuito, fa davvero freddo. È un lavoro che non nessuno vuole fare,così i supermercati si trovano di solito a corto di personale: fu facile ottenere il lavoro che volevo... un lavoro che mi consentiva un’assoluta e splendida libertà. Non dovevo più indossare la divisa, mi tinsi i capelli di color rosso-fiamma, fumavo sigarette una dopo l’altra e mi sparavo nella cuffia del Walkman le mie compilation in cassetta, piene di NOFX, Lush, Samiam, Velocity Girl, Pulp e Blur. Ero felicemente invisibile.

Tra l’altro, vorrei sottolineare che anche Mikey Way seguì il mio stesso percorso quando fu assunto alla cassa due mesi più tardi (faceva ancora più freddo). Quindi ci fu un breve periodo in cui noi due fratellini radunavamo carrelli della spesa insieme e ci scambiavamo le nostre cassette. Durò poco perché io fui spostato al reparto surgelati: anche lì faceva davvero freddo.

Il motivo per cui vi sto raccontando la gloria e le miserie della vita di uno spingi-carrelli di provincia è che nella vita di un ragazzo sono cose come quelle che rappresentano uno di quei momenti chiave in cui capisci, mentre dio punta il suo dito gelato verso di te in un parcheggio di Sfigaville nel New Jersey, che non hai futuro. Tra l’altro era Natale, il periodo dell’anno in cui ci si scambiano regali.

E il regalo perfetto lo ricevetti da Mikey. Il dono fatto da uno spingi-carrelli senza futuro a un altro. Si trattava del primo numero di Stray Bullets, l’edizione originale che all’epoca era già difficilissima da trovare, visto che l’uscita del numero due (l’unico che ero riuscito a leggere) aveva scosso fino alle fondamenta l’industria dei comics, per almeno due ragioni.

La prima è che si trattava di un fumetto incredibile. So di essere un po’ vago, ma se state leggendo questo volume sapete quasi certamente cosa intendo dire. In caso contrario dovete assolutamente leggerlo: non c’è niente di paragonabile sul mercato.

La seconda ragione è che Stray Bullets era spuntato fuori letteralmente dal nulla, da un tizio che viveva in New Jersey e che prima di quello aveva lavorato soltanto su commissione a un fumetto chiamato Warrior of Plasm. Una cosa che non avevo mai letto, molto probabilmente per via del titolo. Insomma, questo tizio, che si chiamava David Lapham, aveva fatto tutto da solo e ci era riuscito. Aveva fatto un fumetto migliore di tutti quelli che uscivano all’epoca. Per due ragazzi come me e mio fratello, condannati a vivere in New Jersey radunando carrelli della spesa, David rappresentava un segno di speranza, perché ce l’aveva fatta senza scendere a compromessi con nessuno e, soprattutto, senza usare “superpoteri”. Nel suo fumetto non c’era l’ombra di un supereroe, anzi, a dirla tutta non c’era l’ombra di un personaggio simpatico o piacevole, a parte una ragazzina di nove anni (almeno all’inizio). E la cosa strana è che col passare del tempo entravi in sintonia comunque con lo spacciatore, facevi il tifo per il rapinatore romantico ma senza speranza, e speravi che la ragazza in fuga riuscisse a mandare al creatore più gente possibile. Stray Bullets portava sul suo palcoscenico tutti gli scarti dell’umanità e loro ballavano e cantavano per te finché, dopo averli odiati terribilmente, anche tu cominciavi ad adorarli.

Ed è proprio questo l’aspetto che mi è subito piaciuto leggendo Young Liars: ho odiato tutti i personaggi, fin dalla prima pagina. Tanto sapevo che era solo questione di tempo, e avrei cominciato ad amare anche loro.

Il fatto è che si tratta di persone che conosci. Anzi, anche tu sei stato qualcuno di questi personaggi.  Tutti abbiamo attraversato (be’, quasi tutti) i nostri vent’anni e ci ricordiamo benissimo cosa facevamo a quei tempi. Bazzicavamo club e discoteche, ci ubriacavamo, facevamo a botte ed eravamo gelosissimi... eravamo tutti bugiardi. Siamo stati tutti bugiardi perché in quegli anni ci siamo tutti reinventati, abbiamo tutti addolcito o cancellato pezzi del nostro passato per farlo sembrare più interessante. Conosco persone che che si sono affibbiati da soli un soprannome, uno mai avuto prima, come se questo potesse regalare loro una vita nuova e spregevole. New York, poi, è la città perfetta per farlo, ed è il palcoscenico più adatto per un fumetto come Young Liars: a New York nessuno ti conosce. È il punto di arrivo di tanta gente che viene dagli angoli più remoti degli Stati Uniti e decide di cambiare faccia, cambiare pettinatura, cambiare nome, cambiare sguardo, cambiare accento.

Ma nonostante questo realismo di fondo, nonostante il sudore, le lacrime e le chitarre date via in pegno, Young Liars non finisce qui. Young Liars è la bugia. È la fantasia. È il piano che metti a punto per rubare quel quadro che permetterà a te e ai tuoi amici di diventare milionari e rock star. È una testa piena di sogni e una pancia piena di ragni. È sesso, è droga. È violenza, molta, molta di più di quanta ce ne fosse in Stray Bullets. David spinge al massimo sull’acceleratore, sul ciglio del precipizio o in bilico sulla canna di un gigantesco revolver. Con una colonna sonora che spacca.

Young Liars non sono i vent’anni che ricordate, sono i vent’anni che ricorderete quando li racconterete (mentendo) ai vostri nipoti.


Gerard Way
Creatore e scrittore di The Umbrella Academy e rock star a tempo perso (My Chemical Romance)
Agosto 2008, New Jersey (dove anche l’estate fa schifo)
"

(preso dal sito della Planeta DeAgostini; è sempre bene specificare le fonti di opere d'ingegno non proprie, giusto? Il mio meraviglioso professore di letteratura inglese nonchè futuro relatore della mia tesi lo dice sempre, ce lo inculca in testa come un sacro principio morale, e così dovrebbe essere per tutti. Se tutti fossimo onesti, non ci sarebbero ficwriters che si lamentano di continuo di essere state defraudate dei propri lavori :'D)


Ora, sono perfettamente consapevole di risultare monotona a coloro che mi conoscono bene, dal momento che decanto ogni volta le doti dei My Chemical Romance sia come gruppo sia per l'accozzaglia delle singole e splendide personalità che li compongono. Ma lasciate che mi ripeta ancora una volta: questi ragazzi sono artisti e niente me lo toglierà dalla testa. Ascoltare i loro album, uno dietro l'altro, è come leggere un enorme romanzo di formazione, come assistere alla crescita di cinque post-adolescenti che diventano adulti un poco per volta. Può essere la storia di chiunque, di chi è dotato di sensibilità artistica fuori dal comune, di chi sa perfettamente di non essere come gli altri, di chi ha subito ingiustizie dai cosiddetti 'fighi', quelli che alle medie ti nascondono i ragni nello zaino o ti subissano di uova a carnevale, quelli che poi, quando tutti cresciamo, alla fine si rivelano mediocri personucce senza grosse aspirazioni, che continuano a fissare con disappunto noi piccoli megalomani ma un po' ci invidiano perché riusciamo a sognare, dopotutto. E non perdiamo il vizio.
Pochi gruppi hanno saputo raccontare il periodo della vita più duro - che non è, come molti ritengono, l'adolescenza, bensì il dopo, quello che ti accade quando esci dal mondo placcato oro e fintomaledetto dei teenagers e batti una sonora culata sul marciapiede gibboso della vita vera - senza scadere nei cliché, senza risultare banali ma donando sfaccettature credibili e dolorose anche ai momenti più bui. Certo, sono evocativi, hanno dato vita a un mondo immaginifico, una galleria di personaggi e angosce che vengono portate alla caricatura ma solo per far capire quanto possano essere autentiche e assolutamente reali. E mentre fanno tutto questo, mostrano di essere delle persone come tutti, forse un po' eccentrici, ma meravigliosi e pieni di pregi e difetti come chiunque. Umani.
E quindi io li ringrazio per essere cresciuta insieme alla loro musica, per aver acquisito maturità anche grazie ad essa, e infine concludo dicendo che uno dei miei sogni sarebbe che Gerard Way scrivesse la prefazione al mio futuro (e alquanto improbabile ad accadere) fumetto. :°D

2 commenti:

vape ha detto...

sono d'accordo con tutto.
...cioè, caspita, se non avessi scritto l'autore alla fine della citazione, avrei pensato fosse uno dei tuoi monologhi.
uno di quelli che somigliano ad una lama,che, piano piano, ti buca lo stomaco e crea una porta d'uscita per quello che c'è dentro. quella sensazione di dolore mista a piacere è difficile da spiegare con semplici lettere, ma tu ci riesci.
sei una piccola gerard way e ti amo :*

p.s. dopo anni di blog, fanfiction e co. sono riuscita a produrre un commento :D
p.p.s. però non posso non mettere almeno una faccina *____*

CleaStrange ha detto...

ma magari fossi come Gerard, moglie <3 una mente vulcanica come la sua la pagherei milioni, se potessi :°D
però grazie del commento *_* finalmente ci sono riuscita a farti scrivere qualcosa, ahahah! <eroe