giovedì 3 marzo 2011

Antieroi, pt. 1

Ultimamente va parecchio di moda creare dei personaggi che sfuggano completamente a quell'idealizzazione e purezza di intenti che era un tratto distintivo dei cosiddetti eroi. Detto fra noi, esprimendo un parere più che personale - ma in cui credo si ritroveranno in tanti - l'eroe alla Superman, o il classico cavaliere senza macchia e senza paura dei poemi cavallereschi medievali, risulta, nell'epoca contemporanea, alquanto scontato e stereotipato, una tipologia umana che non si trova nemmeno nella realtà, dal momento che niente è tutto bianco o tutto nero. Insomma, tornando indietro nel tempo fino all'antica Grecia, Ulisse batte Achille senza riserve, anche in virtù delle enormi doti intellettive in dotazione al primo. Quelli che vengono denominati, in antitesi (e non opposizione, giacchè quella è territorio più o meno esclusivo dell'antagonista vero e proprio), antieroi, sembrano avere proprio questo dalla loro: intendiamoci, non è che gli eroi sono tutti una brancata di idioti, anzi.


Ma l'antieroe ha quel qualcosa in più, quel tarlo, quella bacatura nella coscienza che gli permette di usare la propria intelligenza per scopi non del tutto disinteressati, non del tutto puliti ma soprattutto al servizio di se stesso più che della collettività. Va da sé che questo uso spregiudicato del proprio cervello si risolve anche in metodi poco ortodossi, vuoi per dubbia moralità, vuoi per un integralismo portato alle sue estreme e brutali conseguenze. Ad ogni modo, tali soggetti non sono ascrivibili in toto alla schiera dei cattivi, giacché le loro intenzioni non sono dettate dalla pura logica del male, ma dalla disperazione di togliersi dalla melma, da opportunismo, lucida follia o più semplicemente un sentimento talmente ottundente - come la vendetta - da non lasciare spazio a vie di risoluzione più etiche.
D'altronde, ciascuno di noi ha un lato oscuro. Sarebbe inverosimile pensare che fossimo perfetti come, ad esempio, un Dottor Manhattan. Lui è quello che ammiriamo, ma alla fine coloro in cui ci immedesimiamo sono Rorschach o il Gufo Notturno.
Mò vi chiederete: perché ora ci tira sto pippone immenso?
La risposta è banalotta: mi affascinano gli antieroi e ho deciso di parlarne un po', anche in virtù di un libro che ho appena finito di leggere, consigliatomi da un'amica, e di un film che non mi stancherei mai di vedere. Tralascio le inevitabili congiunture con i fumetti visto che potrei continuare a parlarne finché non mi addormento sulla tastiera generando una serie infinita di sodiashiufchndudbcyudgcdnef. Probabilmente potrei parlarne a pillole più qua, dei vari Batman, Constantine, dei supereroi con superproblemi della Marvel, di Sandman che è un emo di portata epocale o di Plastic Man che mi inquieta con quel ghigno che non si leva mai dalla faccia, ma non lo farò adesso, tranquilli, miei due (ma facciamo anche zero) lettori :°D

Dio di Illusioni: antieroi al college
Questo romanzo di Donna Tartt (titolo originale: The Secret History, Rizzoli, 1992), pressoché introvabile (non vi dico la fatica per reperirlo :°D) è illuminante sotto questo punto di vista: a parte che lo trovo molto Dostoevskijano (Delitto e Castigo)  per il fatto del crimine, delle sue conseguenze, soprattutto psicologiche, e per il fatto che i protagonisti sono tutti giovanissimi, ma l'intreccio tra romanzo di formazione (che si evince anche dalla scrittura, lineare e priva di guizzi e artifici linguistici più d' "avanguardia") - quella di Richard Papen, il narratore - e giallo, con le indagini del caso, assume una forma affascinante e non nego che mi abbia tenuto attaccata alle pagine in diversi frangenti. È un libro che si mangia e lascia qualcosa dentro, un profondo senso di inquietudine fuori dal tempo.
La trama, in soldoni, è questa: Hampden College, Vermont. La classe di Greco Antico del professor Julian Morrow è una sorta di élite nell'élite, un elemento misterioso e osteggiato nel college sperduto nelle atmosfere rarefatte del New England. Tale classe è composta soltanto da cinque studenti, cinque figure che, assieme al loro professore, sembrano esterne  al contesto temporale in cui sono calate, creature del passato che si trovano a vivere alla fine del ventesimo secolo. Di questa ristretta cerchia entra a far parte Richard Papen, studente californiano di modesta estrazione, il più 'figlio del suo tempo' tra i protagonisti, sfuggenti come creature mitologiche e dediti a ricreare nel loro piccolo l'atmosfera della classicità, anche attraverso riti di estasi collettiva, quelli che venivano, nell'antichità, chiamati baccanali. È proprio durante uno di questi che si consuma la tragedia di un omicidio involontario, il quale però porterà ad estreme conseguenze il susseguirsi dei fatti, in un crescendo di violenza e degenerazione. Ora, non voglio raccontare tutto il romanzo, perché se riusciste a trovarlo vi consiglio caldamente di prenderlo, ché è molto bello e coinvolgente e se ne parlo di sicuro, col mio linguaggio da libro strappato, non gli rendo giustizia :°D però vorrei soffermarmi, seppure in breve, sulla caratterizzazione dei personaggi principali, che trovo alquanto interessanti.
Richard in sé è forse il più semplice da capire: come noi che leggiamo, anche lui è all'oscuro di tanti elementi che verrà a scoprire a poco a poco, quindi il suo punto di vista è umanamente condivisibile, così come le domande che si pone, il cambiamento di punti di vista e opinioni nei confronti dei suoi nuovi amici. In sostanza si potrebbe quasi azzardare un'affermazione del tipo che Richard è un po' tutti noi, che non esista realmente in quanto personaggio, per quanto abbia un certo spessore, proprio perché questo spessore è quello in cui chiunque si potrebbe riconoscere. Lo spessore di chi finge di essere qualcun altro per desiderio di accettazione da parte degli altri; di chi osserva e non comprende del tutto, di chi è ingenuo e se ne accorge sempre troppo tardi. Di chi si ritrova invischiato in qualcosa più grande di lui, pur senza aver agito, e che proprio in virtù dell'inazione si ritrova complice. Lo trovo comunque, per quanto possa non sembrare da quanto ho appena detto, un personaggio positivo e di sicuro meno sfuggente di tutti gli altri, di cui si comprende la portata solo molto dopo.
Henry invece è enigmatico, cerebrale, pacatamente freddo ed estraneo a ciò che gli accade intorno: pensare che non è nemmeno a conoscenza dello sbarco sulla Luna. Riveste quella che è la figura di comando, anche in virtù del suo rigore, del suo non lasciar mai trapelare anche solo una parola di troppo, della soggezione che incute. Quando decide di fare quel che ha intenzione di fare anche gli altri finiscono per seguirlo, trovandosi talmente invischiati nelle sue macchinazioni da non sapere nemmeno se ostacolarlo possa liberarli dalla morsa in cui sono stretti. Tutto sommato però non riesco a trovarlo del tutto sgradevole: penso che anche nella sua integerrima costanza e nella folle lucidità con cui prosegue imperterrito abbia una sorta di triste umanità, di abnegazione a quel che fa. Mi fa anche un po' tenerezza, vi dirò. Chiamatemi squilibrata :°D
Francis è un dandy con tutti i crismi. Elegante ed eccentrico, fisicamente sottile e apparentemente viziato, non fa mistero della sua omosessualità per quanto non la sbandieri in giro. Può sembrare altezzoso ma in realtà si rivela molto fragile e insicuro, oltre che un ipocondriaco di proporzioni tremende e quasi comiche. Insomma, si può dire che sia una vera e propria drama queen, ragion per cui, leggendo il romanzo, non mi sia stupita più di tanto che sia il personaggio preferito della mia migliore amica (ti voglio tanto bene :°D)
Charles e Camilla, gli unici gemelli di tutto il college. Potrei anche parlarne separatamente ma snaturerei il loro rapporto, poiché sono l'uno l'opposto dell'altra e si compensano come lo yin e lo yang. Tanto è umanamente caloroso e inquieto il fratello quanto calma e posata la sorella. Sembrano quasi come Apollo e Artemide e non faccio fatica ad immaginarmeli così, dato che sono descritti come portatori di una bellezza efebica e rassicurante, che sembra provenire da altrove. Anche loro, soprattutto Camilla, con la sua pacatezza quasi innaturale, sono caratterizzati da questa sorta di immaterialità, di decontestualizzazione dai tempi e dai luoghi in cui vivono, facendoli sembrare davvero come degli antichi Greci. La loro inevitabile corporeità emergerà in un climax drammatico verso la fine del romanzo, rendendoli umani come chiunque altro e togliendo loro quella patina d'idealizzazione che, all'inizio - e chiaramente dal punto di vista di Richard - riveste tutti loro.
Bunny, alla fine della fiera, è colui che meno viene idealizzato e di per sé è pure molto semplice da comprendere, come personaggio, quasi come una nota stonata nell'inquietante armonia della sfuggevolezza degli altri quattro. Edmund - il suo vero nome - è un po' grezzo, superficiale, trasandato e dall'umorismo piuttosto di bassa lega, ma alla fine è uno che in qualche romanzo del passato avrebbe potuto esser definito un 'povero diavolo'. È fondamentalmente buono, per quanto a volte si armi di una certa malignità, soprattutto nello scovare i goffi tentativi di Richard di sembrare un ragazzo di buona famiglia. Inizialmente può sembrare simpatico e alla mano ma quasi subito dopo emergono tutta quella serie di caratteristiche che ce lo fanno vedere con negatività e che porteranno poi alla conseguenza più importante e drammatica di tutto: la decisione di ucciderlo affinché non si lasci scappare parole di troppo, come invece sta già facendo, sull'omicidio durante l'estasi dionisiaca. Non sto facendo nessuno spoiler, comunque, visto che la sua morte è stata annunciata già nelle prime righe del prologo.
Ecco, Bunny è il punto di partenza per il ragionamento che facevo poc'anzi sugli antieroi: in qualche modo, per quanto legittimi siano i suoi timori e per quanto qualsiasi persona sana di mente non manterrebbe il segreto su una cosa così grossa e tremenda - nella quale neanche si sia sporcata fisicamente le mani - lui passa subito per l'antagonista, quello di cui i nostri antieroi si devono, almeno nella visione di Henry, sbarazzare per continuare "impuniti" nelle loro esistenze. Se all'inizio può sembrare simpatico per la sua giovialità e l'allegria con cui scrocca cene qua e là, dopo assume sempre più la piega di un approfittatore, un ricattatore, tutto fuorchè una vittima. Gli altri sembreranno, al contrario, delle povere prede e quindi, narrativamente parlando, questo legittima la loro azione conseguente. In pratica si mandano a puttane tutti gli scrupoli morali che nella vita reale ci accompagnano e si inizia a vedere Bunny con un certo astio, passando quindi dalla parte degli antieroi, di quelli che fanno qualcosa che non dovrebbe essere fatto ma viene comunque compiuto. Salvo poi piangerlo come un bravo ragazzo dopo il suo ritrovamento. Quindi, oltretutto, si smaschera anche il cinismo e le falsità delle persone, sia quelle che assistono ai funerali, sia quelle che leggono, sempre perché Richard osserva, intorno a sé e dentro di sé, traendo e riportando queste tremende conclusioni e rendendoci partecipi degli sconvolgimenti emotivi e psicologici che piano piano iniziano ad attanagliare tutti loro, volenti o nolenti. Si è un po' complici anche noi, della sua morte.
In conclusione, non è tutto oro quello che luccica, il mistero che racchiudeva questi ragazzi nella loro campana di vetro è stato infranto ed è stato come aprire il vaso di Pandora, come far uscire tutti i mali di questo mondo, tutte le storie tristi e tremende che questi ragazzi si sono sempre portati dietro e che li hanno avvolti, facendo credere al mondo che quella corazza fosse splendente e bellissima.

Del film parlerò nel prossimo post, giacché credo si profilerà un pippone senza fine come questo :°D

2 commenti:

Geeno ha detto...

Mi hai fatto venire voglia di leggerlo :'D proverò a trovarlo una volta finita la sfilza di libri già comprati, ma ancora da leggere.

CleaStrange ha detto...

yeah o/ma ti avverto subito: farai una fatica boia a trovarlo :°D