Ecco. Normalmente me ne esco di lì con la coda tra le gambe ma ieri non ho avuto il benché minimo giudizio e mi sono portata a casa questo agile tomo, uscito da pochissimo:
Agile un piffero, ve lo dico io. Il Ciotta Silvestri non solo è enorme, non solo costa la bellezza di 28 euro, ma è anche quanto di più ostico ci si possa aspettare da delle recensioni di film.
Ecco, non ho mai compreso perché, quando si scrive una critica - a qualsiasi cosa eh, beninteso - si debba inseguire il parolone a tutti i costi, rimuovere la punteggiatura, architettare costrutti logico-sintattici senza il minimo senso, insomma perché si deve per forza scrivere un poema futurista di Marinetti, con la sola differenza che Boom Bang Schiacc ha più senso di esistere.
Che qualcuno mi spieghi il perché di questa tendenza dilagante e delirante, che così tanto va tra gli intellettualoidi.
Perché vergare parole a caso? E soprattutto perché raccontare il film in maniera così psicopatica che si deve ricominciare daccapo a leggere venti volte e anche alla quarantesima non ci si capisce un'infiocchettatissima? Ditemi, ve ne prego, cosa avete capito di questo film (gentilmente fregato dal sito de Il Manifesto, per cui questi due individui scrivono e curano la sezione cinema. S'andà benino, direbbero dalle mie parti):
TED
di SETH MACFARLANE; con MARK WAHLBERG, MILA KUNIS. USA 2012.
Esordio alla regia di Seth
MacFarlane ideatore della saga I
Griffin testimonial del degrado
fisico e mentale della middleclass
americana, un politicamente scorretto
che fa godere folle di spettatori felici di
specchiarsi nel piccolo schermo. Ma Seth
MacFerlane sostenitore del partito
democratico accontenta soprattutto
quella parte del suo schieramento che
ride dei compatrioti da tea party. Il
passaggio dalla tv al cinema è rischioso
perché il grande schermo non tollera la
parodia della parodia e lo sghignazzo si
taduce spesso in una sua beatificazione.
Un film che non sa dove andare, non
certo dalle parti di Harvey. (m.c.)Le iniziali in fondo parlano (spero) chiaro: Mariuccia Ciotta ne è l'autrice.
Non voglio indagare sulle sue dichiarazioni di intenti, sul perché scriva così (spero solo non voglia rendere omaggio a Joyce e ai suoi flussi di coscienza); so soltanto che ieri ho visto 'sto film e m'è piaciuto un bel po', che le chicche e le citazioni nerd, per non parlare di certe gag, m'hanno fatto sdraiare sulla poltroncina del cinema e che quell'orsetto è tenerissimo, finché sta zitto e buono. Mark Wahlberg è tenero comunque, che lo dico a fare.
Ma poi, chi cazzo è Harvey?
Per la par condicio metto anche qualcosa dell'altro autore, Roberto Silvestri. Almeno credo, viste le iniziali.
(Sempre grazie a Il Manifesto)
ON THE ROAD
di WALTER SALLES; con SAM RILEY, KIRSTEN DUNST. USA 2012.
55 anni per portare sullo
schermo On the road di Kerouac,
il ritratto dei giovani ventenni che
rifiutano il lavoro sotto il capitale e
preferiscono correre per il paese, tra
microcriminalità e vagabondaggio. La
mitica controbibbia della 'beat generation'
fu pubblicato, senza censura, da Viking
Press il 5 settembre 1957. Il film non lo
ha fatto Marlon Brando, nonostante le
richieste pressanti di Jack Kerouac. Non
lo ha fatto Monty Clift. Né Coppola che
pure opzionò il libro nel 1970. Non è
riuscito a dargli una struttura convincente
neppure Gus Van Sant. Ma adesso c'è.
Con Tom Sturridge che è Allen
Ginsberg-Carlo Marx; Viggo Mortensen
che fa William Burroughs-Old Bull Lee e
Kirsten Dunst come Camille-Carolyn
Cassidy, più una sventagliata di vintage,
libri di Proust, Céline e Rimbaud a
volontà, jam session jazz scatenate,
bevute d'obbligo d'ogni cosa, pere, sesso
sempre, poliziotti che vi immaginate,
lunghe strade assolate e deserte che da
Denver conducono a Frisco e da Phoenix
City a Mexico City. C'è tutto, ma è come
se tutto fosse devitalizzato, le avventure
ai confini di se stessi del trio e compagnia,
sono intrappolate dalla struttura canonica
«inizio-centro-fine» senza sbandare mai.
(r.s.)
Il tenore del volumone è tutto così e anzi, le recensioni sono pure più lunghe, alcune a un paio di pagine c'arrivano, quindi immaginatevi il mal di testa. Francesco Gallo ha avuto a dire che è "un volume di oltre 1300 pagine pieno di coraggio". Facciamo che il coraggio ce lo mette il lettore, okay?
Insomma, morale della favola: oggi ho riportato il libro e al suo posto ho preso Re Lear, Macbeth e Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Sono un tipo all'antica, sono.
2 commenti:
Ahahah a giudicare dalle due recenzioni citate direi che più che un tomo sui libri che han fatto la storia è un tomo sul tono velato di superiorità che vogliono far emergere i critici! :D
Mush
Precisamente! Queste due non sono presenti nel volume, è roba fresca fresca della settimana scorsa, ma c'è proprio una supponenza di fondo, nel loro "recensire", che mi fa imbestialire da matti.
Posta un commento